LA PUNTA

Ispirato dalla canzone “Centravanti di mestiere” di Povia

Sono un centravanti. La mia vita mi vuole attaccante, unica punta di una sgangherata squadra. Vengo da diverse giornate senza gol, il malcontento comincia a percepirsi e la stampa infierisce. Io non gioco per la stampa, io non gioco per i soldi. Io gioco per questa maglia e per i miei tifosi. La partita è cominciata, ogni minuto che passa la palla è sempre più pesante, la porta sempre più lontana e il portiere sempre più gigante. Finisce il primo tempo, neanche un tiro verso la porta. Negli spogliatoi il mister fa il suo discorso alla squadra, chiede maggiore impegno. Non mi dice niente ma sò che da me si aspetta di più. Sono una punta e solo segnando adempio il mio compito. Smettiamola con queste stronzate sul sacrificarsi per la squadra e creare spazi per l’inserimento dei centrocampisti. Devo segnare e stop. Nel secondo tempo mi gioco tutto. Provo a sfondare sulle fasce ma vado a sbattere contro i terzini che con la forza dei miei errori del passato e del presente respingono ogni mio tentativo di guadagnarmi il fondo. Ci provo per vie centrali ma i difensori forti della mia insicurezza e dell’incertezza del futuro intercettano ogni pallone. Come se non bastasse i due mediani mi ringhiano contro evidenziando il mio fallimento e tirando fastidiosi calcetti sugli stinchi. Il nervosismo sale. Tento di giocare di sponda, chiedo aiuto all’ala ma sbaglia lo stop e non riceve il passaggio. Ha la testa altrove. Ha già firmato per un club blasonato e gioca solo per ordine dei vertici societari. E’ un po come quegli amici che ti lasciano solo da un giorno all’altro perchè hanno di meglio o solo perchè gli va di comportarsi così. Ricordo quando era lui ad essere in crisi e io gli passai quella palla a porta vuota. D’altronde il calcio, così come la vita, è composto anche da mercenari. L’importante è che ora sò che la palla non deve passare da lì.
Tornando alla partita, tutto è ancora bloccato. Ci provo di furbizia. Entro in area, cerco l’avversario, mi tuffo, sento il fischio, invoco rigore, l’arbitro si avvicina… spero… estrae il giallo ma… è per me. Simulazione! Non ci è cascato e ora non mi crederà più neanche subissi veramente fallo. Nervosismo alle stelle. Il portiere avversario oramai è grande quanto un condominio e la porta, fatto di sogni, speranze, sentimenti, persone, alle sue spalle la si scorge appena. Sto sul filo del fuorigioco. Ci provo così. E’ questione di tempo. Scatto un momento prima e sono fuorigioco, un momento dopo e il difensore mi chiude. L’agitazione mi fa anticipare i movimenti. Uno, due, tre, quattro fuorigioco. Stavolta mi sono mosso giusto, ne sono sicuro. Scatto ma la bandierina si alza. “Infilatela nel culo quella bandierina” grido. Ecco! Ora mi buttano fuori. Il guardalinee mi guarda, mi fa segno di calmarmi e corre via. Devo essere proprio messo male se faccio pena pure lui.

Siamo al novantunesimo. Calcio d’angolo. Mischia in area. Sono una punta. Sò dove mettermi e sò dove arriverà la palla.
Corner battuto, mi smarco, svetto. Con la coda dell’occhio vedo i sogni, le speranze, i sentimenti, il traguardo o meglio la porta. Ho staccato con il tempo giusto, la palla è a pochi centimetri dalla mia testa. La colpisco e…
Sono un centravanti, il mio scopo è fare gol.